MOLISE ALL'OPPOSIZIONE

Introduzione

Una regione storicamente di destra

Il Molise degli ultimi settant’anni, dal secondo dopoguerra ad oggi, è stato certamente connotato dal dominio politico elettorale del centro-destra.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, mentre il suo territorio si spopolava a seguito dell’enorme emigrazione, il modello politico prevalente fu quello neo-corporativo realizzato mediante il collateralismo politico della Coldiretti - la potente associazione dei lavoratori agricoli capace di capillare presenza nelle campagne e di pressante clientelismo - a favore della Democrazia cristiana, il partito di ampia maggioranza a sua volta paternalistico dispensatore di favori.

Il modello economico legato alla creazione stessa della regione amministrativa molisana (1963) fu sostanzialmente quello assistenzialistico del sostegno economico dal centro statale con la connessa creazione di un terziario tradizionale legato alle opportunità occupazionale create dalla neonata burocrazia amministrativa regionale.

L’assistenzialismo clientelare si rafforzerà nel corso della prima metà degli anni Settanta. Basti a rappresentare questa condizione l’esempio di un’inchiesta giornalistica realizzata in quegli anni nella quale la provincia di Isernia risultava vantare il primato nazionale del più alto numero di invalidi civili sul totale della popolazione residente. Tra i comuni della stessa provincia, Bagnoli del Trigno risultava, a sua volta, al primo posto in quella non gratificante ma emblematica classifica.

Quando nelle elezioni per la Camera dei deputati del 1976 il PCI raggiungerà, a livello nazionale, il 34% dei voti, a soli 5 punti dalla DC collocata al 39%, in Molise la DC ottiene la maggioranza assoluta, 51%, e il PCI arriva solo al 26%.

Alla pure evidente crescita economica che, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta, portò finalmente il Molise fuori dalla miseria in cui aveva versato fino ad allora, non corrispose l’affermazione di un vero e proprio sistema produttivo locale dotato di una sua specifica e riconoscibile matrice culturale territoriale. L’industrializzazione locale fu quasi esclusivamente frutto della ristrutturazione delocalizzatrice delle aziende esterne alla regione, assumendo così un carattere passivo, inadatto ad avviare un processo di sviluppo autopropulsivo settorialmente e territorialmente equilibrato. L’agricoltura mantenne ancora a lungo il suo tradizionale carattere di arretratezza.

Nella seconda fase dell’Intervento straordinario dilagarono le iniziative finalizzate al sostegno al reddito delle famiglie piuttosto che allo sviluppo economico e sociale. Tutti questi elementi precipitarono definitivamente la neonata regione nell’assistenzialismo e nel clientelismo, sempre egemonizzato dalla Democrazia Cristiana.
Anche i più lucidi tentativi di programmazione regionale dello sviluppo lodevolmente messi in atto nei primi anni Ottanta non scalfirono il contesto localistico e clientelare locale. Nelle elezioni politiche del 1983, quando alla Camera DC e PCI corrono sul filo con rispettivamente il 33% e il 30% dei voti, in Molise la DC totalizza il 57% dei suffragi con un PCI attestato appena al 20%.  Nelle elezioni europee del 1984 che, a pochi giorni dalla improvvisa e prematura morte di Enrico Berlinguer avvenuta l'11 giugno, vedono, sia pure di misura, il sorpasso del PCI (33,33%) sulla DC (32,96), nella provincia di Campobasso la DC raggiunge il 47,71% e in quella di Isernia addirittura il 53,70%.

Anche negli anni del Craxismo il Molise resta saldamente in mano alla Democrazia Cristiana sempre in possesso della maggioranza assoluta.

Gli anni successivi sono stati quelli del berlusconismo e dunque di nuovo della destra, anche in Molise, fatte salve poche interruzioni di governi regionali di centro sinistra, o troppo brevi, o troppo ambigui e fiacchi per dare risultati apprezzabili. Anche la recente forte affermazione locale del Movimento 5 stelle nelle elezioni politiche è avvenuta in un contesto politico nel complesso così fluido e mobile da non poter essere, almeno per il momento, ben analizzabile e comunque in presenza di un governo regionale particolarmente orientato a destra.


La provincia “fascistissima”

Anche nel corso del ventennio mussoliniano il Molise si distinse come provincia oltreché “ruralissima”  anche “fascistissima”, con quasi il 90% dei suffragi al fascismo nelle elezioni del 1924.In quel contesto una vera e propria dissidenza organizzata riuscì a svilupparsi, per la debolezza della struttura dei partiti già prima dell’instaurazione del regime.

Quel poco, o quel tanto, in termini di generosità e coraggio personali - che nei primi anni Venti si riesce ad organizzare nella provincia intorno alle Camere del Lavoro di Isernia, S. Croce di Magliano, Campobasso, Venafro, alle 21 sezioni del Partito socialista e ad alcune amministrazioni locali, viene spazzato via dal violento squadrismo di nazionalisti, combattenti e fascisti, spesso affiancati dai carabinieri. Sarà l’interventismo di Michele Romano, coniugato al combattentismo di Mario Carusi e al nazionalismo del grande proprietario terriero larinese Spiridione Caprice, a cui faceva da valletto l’ingenuità tecnocratica di ex seguaci del meridionalismo industrialista di Francesco Saverio Nitti come Guglielmo Josa, a rappresentare in Parlamento, dopo le elezioni del 1924, il Molise ormai tutto fascistissimo. Si distingueva ormai solo l’affermazione elettorale nel Larinese del liberale amendoliano Errico Presutti, presto anch’egli del tutto emarginato, per essere stato tra i pochissimi docenti universitari italiani a rifiutare di prendere la tessera fascista.


Molise per la libertà, la democrazia, la giustizia sociale

Questa ormai secolare prevalenza elettorale delle forze della Destra politica ha contribuito a determinare nel senso comune l’idea di un Molise territorio pacificato, rassegnato, sostanzialmente impermeabile alla politica se non nelle sue forme più opportunistiche e clientelari.

Ma la realtà storica smentisce questo luogo comune. Nella prima metà del Novecento, in quel panorama alquanto depresso dal punto di vista dell’organizzazione politica democratica, non mancarono episodi di protesta e di lotta, né furono poche le persone che misero a rischio la loro vita in nome dei diritti dei lavoratori, per l’affermazione della libertà e della giustizia sociale, già a partire dalla crisi della fine del diciannovesimo secolo, poi durante la crisi dello Stato liberale nel primo dopoguerra e infine durante la dittatura fascista.

A dimostrarlo sono i dati desumibili dal “Registro degli oppositori politici” voluto nel 1894 dal governo Crispi presso la Direzione generale di pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno che, con la legislazione eccezionale del 1925 e 1926, sarebbe diventato il “Casellario politico centrale” del regime fascista.

La percentuale sulla popolazione residente (censimento 1921) di schedati nel Registro degli oppositori politici e poi nel Casellario politico centrale tra il 1894 e il 1945 nati in Molise (2,1‰), se di molto inferiore alla media nazionale (3,9‰) risulta comunque superiore a quella dell’Italia meridionale (1,7‰), superiore anche alla percentuale della molto più politicizzata Puglia (1,99‰) o della Campania (1,6‰) e seconda solo all’Abruzzo (2,7‰). Anche tenendo presente che nell’allora provincia di Campobasso operavano solo il 39% del totale degli schedati nati in essa, essendo gli altri emigrati e operanti in altre province italiane o all’estero (la stessa percentuale saliva per l’Italia meridionale al 53%), risulta comunque chiaro come il Molise sia stata una delle aree a più alta combattività sindacale e politica dell’Italia meridionale per tutta la prima metà del Novecento.

A quei coraggiosi militanti della libertà, della democrazia e della giustizia sociale vogliamo dedicare questa rubrica che, significativamente abbiamo voluto chiamare “Molise all’opposizione”, per ricordare tutti quei molisani che si sono spesi, a rischio della loro stessa vita, contro lo sfruttamento, il sopruso, la dittatura.
Non parleremo dei (pochi) dirigenti politici e sindacali, ma delle (molte) figure popolari, poco note al grande pubblico, ed anche alla storiografia, che dai più piccoli paesi molisani vollero e seppero collegarsi al resto del mondo, per combattere prima contro l’autoritarismo e poi contro la dittatura fascista.

Il comune che nella allora provincia di Campobasso ebbe più schedati nel Casellario politico centrale, sia in termini assoluti (60) sia in proporzione alla sua popolazione del 1921 (ben il 13‰) è Bagnoli del Trigno. Va precisato che gli schedati bagnolesi effettivamente residenti erano soltanto il 37% del totale di quelli nati in paese, con una percentuale in linea con quella provinciale (39%) e non troppo più bassa di quella regionale abruzzese-molisana (48%), come anche di quella di regioni settentrionali particolarmente interessate dal fenomeno migratorio come, ad esempio, il Veneto (48%). 

Gli schedati bagnolesi non residenti svolsero la loro militanza politica fuori regione, soprattutto a Roma, e all'estero, il più cospicuo gruppo negli USA (25 unità). Da lì, lungo gli itinerari delle migrazioni, a corto e lungo raggio, il verbo della giustizia sociale e della libertà politica si riverberava in paese. 

Dagli ultimi anni dell’Ottocento e per tutta la prima metà del Novecento, Bagnoli può dunque davvero essere considerata la culla dell’anarchismo, del socialismo, del comunismo, dell’antifascismo in Molise. Inizieremo dunque a ricostruire le biografie di alcuni dissidenti bagnolesi. Cronologicamente, il primo di essi ad essere schedato come oppositore politico fu, nel 1898, Angelo Perrella.